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Com'è cambiata internet in Cina dopo la decisione di Google

di Gabriele Barbati

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23 marzo 2010
Com'è cambiata internet in Cina dopo la decisione di Google (Lapresse)

DA PECHINO. I cinesi si sono svegliati con due sorprese. La prima, per quelli che ne hanno l'abitudine, e' stata aprire www.google.cn e trovarsi automaticamente reindirizzati su www.google.com.hk, la versione del motore di ricerca in funzione a Hong Kong. La seconda, per chi ha tentato delle ricerche più ardite, è stata di accedere a dei risultati davvero insoliti. Proviamo a capire cosa sia cambiato quando a Pechino è calata la sera sulle reazioni dure della stampa cinese all'annuncio di Google di trasferire le operazioni cinesi sui server di Hong Kong.

Google in "versione hk" è un motore di ricerca sempre in mandarino, ma senza i filtri che l'azienda californiana ha dovuto accettare per iniziare a operare nella Cina continentale nel 2006. Il più classico dei tentativi è digitare nella stringa, in caratteri cinesi semplificati, "Incidenti di Tiananmen", come vengono chiamati da queste parti i massacri degli studenti in Piazza Tiananmen il 4 giugno 1989. La delusione si materializza nel messaggio che il server non può aprire la pagina Internet richiesta. Provando con "Tiananmen 6-4", invece, i risultati sono 52 mila e nelle prime posizioni figurano i resoconti di quella famosa notte su Wikipedia e Youtube. A cliccare sui link non si va lontano: torna il messaggio che la pagina non può essere aperta. Sono passati appena cinque minuti e incappiamo in un fenomeno abbastanza noto a chi ha a che fare con Internet in Cina. Non si apre più nulla, neanche la più innocua delle ricerche: quella semplice su "Tiananmen" che, di solito, restituisce undici milioni di informazioni turistiche sulla piazza più famosa di Pechino.

Proviamo con una ricerca per immagini. Gli "incidenti di Tianamen" restituiscono 216 mila foto, di cui al 49simo e 53simo posto compaiono il famoso uomo senza nome che ferma la fila di carri armati e un altro scatto di un studente con la camicia insanguinata. Come nel caso delle ricerche precedenti, i cinesi si devono accontentare nel migliore dei casi di un assaggio, le prime righe di una notizia o una vetrina di foto, perchè a volere allargare le immagini Internet si blocca.

Ritentando la procedura con "Dalai Lama", "Rivolte in Tibet" e "Falun Gong" (il movimento di ispirazione buddista messo fuori legge in Cina dieci anni fa) non si va oltre la stringa di ricerca, nè in cinese nè in inglese. E' un'Internet monca, la stessa che blocca siti di informazione o popolari network, come Facebook e Twitter.

Tutto cambia quando attiviamo una VPN, un virtual private network che maschera il fatto che il nostro computer sia in Cina. Ci connettiamo proprio a un server di Hong Kong, per sperimentare quella che è la Rete nell'ex colonia britannica, dove non vigono le restrizioni di Pechino. In pochi minuti Google restituisce oltre un milione di risultati sui massacri di Piazza Tiananmen e tutte le notizie e le foto auspicate finora, senza alcuna traccia di censura.

La soluzione scelta da Google nel duello con il governo di Pechino è in effetti una vittoria solo a metà. Con il passaggio a Hong Kong, ha mantenuto la promessa di rinunciare ai filtri che limitavano la libertà dei cinesi su Internet. Ma il problema è che la Cina ha mantenuto i suoi di filtri, il sistema noto come Grande Firewall che identifica e blocca ogni richiesta verso contenuti sensibili che arrivi da computer all'interno della Cina continentale. Detto in altri termini: facendo la ricerca con Google appaiono più risultati, ma se si prova a entrare nei link entra in gioco la censura cinese sui siti di destinazione.

Gli stessi commenti di molti tra i 384 milioni di internauti cinesi, circolati per tutta la giornata on line, sono divisi. Chi critica Google per non avere rispettato le leggi cinesi, e dunque la censura, e chi applaude alla scelta dei dirigenti di Mountain View.

In mezzo ai nazionalisti e ai sostenitori dei diritti, c'è tuttavia una massa di navigatori cinesi a cui tutta questa vicenda passa nell'indifferenza assoluta. "Vado on line soprattutto per scrivere e - mail e per chattare con gli amici. Personalmente con o senza Google - dice Li Ke, studentessa all'università del Popolo di Pechino - non mi cambia molto". Non le cambia perchè usa Baidu, il principale motore di ricerca che controlla il 68% del mercato cinese. E perchè come tantissimi qui non usa Youtube, ma Youku.com, e neanche Facebook. "Su Facebook non ho trovato neanche uno dei miei compagni di scuola - spiega un'altra studentessa. Liu Xiaochen - sono tutti su Renren. Ecco, se fosse questo sito a non funzionare più da un giorno all'altro.. mi darebbe fastidio". Vuoi per l'educazione ricevuta in famiglia e a scuola, per pigrizia, o perchè Internet è visto come puro intrattenimento, la gioventù cinese non soffre in realtà la censura e tantomeno prova ad aggirarla.

Tranne qualcuno, come Gao Bo, studente all'università Tsinghua di Pechino. "Il blocco di Facebook, Twitter e Youtube e ora l'uscita di Google azzera di fatto la capacità della Cina di comunicare con l'estero". Bo ne ha per diversi minuti contro le repressioni del governo cinese, rivendica libertà e diritti, sogna di andare all'estero. Un lungo monologo alla fine del quale lo ringrazio per avere parlato con tanta franchezza. "Sei stato uno dei pochi", concludo al telefono. E lui: "...Sei sicuro che devi scrivere proprio tutto? Ho paura che se qualcuno lo viene a sapere qui in Università non mi facciano laureare...". So di studenti espulsi in passato per lo stesso motivo ed ecco perchè vi ho riportato le sue parole, coraggiose, ma non il suo vero nome.

  CONTINUA ...»

23 marzo 2010
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